22 DOUBLE TWO

Pillole di 22 Double Two - Siti Reali Borbonici in Campania

PILLOLE DI 22
Alcune curiosità sui 22 Siti Reali Borbonici in Campania
Come è noto, per i Borbone i Siti Reali, ovvero le tenute utilizzate dalla Corona come luogo di caccia e pesca esclusivo del re, ebbero un ruolo significativo. Fu infatti Carlo ad istituire i Siti quali settori specifici della complessa macchina amministrativa della Casa Reale. Molte furono le acquisizioni, sin dall'inizio della nuova monarchia, volute dal giovane re: i palazzi reali di Capodimonte (1735) e Portici (1737), il sito di Procida (1738) e quello degli Astroni (1739), la tenuta di Carditello (1741), l'antico feudo di Caserta (1752), le selve di Persano (1753), il Quisisana di Castellammare (1758) e la tenuta di Venafro (1750-1760). A queste seguirono la costruzione del padiglione del Fusaro (1782) e la ristrutturazione di Carditello (1787), volute da Ferdinando IV; mentre durante l'Ottocento abbiamo un solo esempio, il Casino di Delizie di Ischia.





1- IL PALAZZO DI PERSANO:
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"Il palazzo di Persano, tra i più importanti siti reali, secondo alcuni autori ha avuto origine da una sosta di Carlo di Borbone in quel luogo nel 1735, durante il viaggio effettutao 'via terra' attraverso le province verso Palermo dove doveva essere incoronato re di Sicilia. Cosa di fatto assai inverosimile perché l'itinerario seguito dal sovrano lo condusse attraverso la Puglia e la Calabria in un susseguirsi di feste e di cacce".





 


2- LA FAVORITA
:
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"La villa, detta poi la Favorita, fu edificata dalla famiglia Berretta, investita de' titoli di duca di Simari, e marchese di Mesagne, ed ora estinta. Fu poi comprata dal principe d'Aci e di Campofiorito, Stefano Reggio Gravina, capitan generale delle armi alla fine del regno di Carlo III. La Favorita non fu per la corte un luogo di villeggiatura, come Caserta, Capodimonte, Portici; essa se ne serviva di quando in quando per dar feste da ballo, alle quali giovava assai la singolare disposizione della gran sala".






3- LA CASINA DEL FUSARO:

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"La rosea Casina [...] fu costruita nel 1782 da Carlo Vanvitelli, con un ardito progetto che il borbonico re Ferdinando IV volle dedicare alla seconda moglie morganatica, Lucia Migliaccio, la duchessa di Florida. [...] Preziosi gli arredi interni originali, con sete delicatissime di San Leucio, lampadari sfarzosi, quadri d'autore. Fra i più significativi, nel salone superiore, i dipinti delle 'quattro stagioni' di Filippo Hackert e gli otto soggetti religiosi dell'artistica cappellina. Tutto perduto, devastato nel corso della rivoluzione del '799. [...] Da Ferdinando IV la Casina vanvitelliana fu concepita come un sito di caccia, meta di intimità e di riposo".






4- IL REAL CASINO DI CACCIA DI LICOLA BORGO:
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"La riserva di caccia di Licola, nella quale vi erano numerosi cinghiali, daini, lepri, volpi, tassi, istrici e martore, fu tra le preferite dei sovrani borbonici. Francesco I, che pure non si può dire avesse per la caccia la stessa passione del nonno, la fece recintare, nel 1826, con un muro, fossati, argi
ni e palizzate. […] Con il decreto reale dell’aprile 1836 la riserva di caccia di Licola fu frazionata e data in eredità ai principi secondogeniti; ma con rescritto reale del 1845, Ferdinando II non solo la ricostituì, quanto decise di ampliarla ai limitrofi laghi, boschi e pantani demaniali, ripristinando anche il 'miglio di rispetto', che estendeva, appunto, ad un raggio di un miglio di distanza dalla riserva il divieto assoluto di caccia".





5- LA REGGIA DI CAPODIMONTE:
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"Il 10 settembre 1738 con una pubblica cerimonia si pone la prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte, nell'area adiacente all'omonimo Bosco dove nel 1734 Carlo di Borbone, appena salito sul trono di Napoli dopo esser stato per due anni Duca di Parma e di Piacenza, aveva deciso di creare una grande riserva di caccia e una residenza di Corte. [...] In realtà non è del tutto certo che Carlo o piuttosto il suo potentissimo Segretario di Stato, il colto e 'illuminato' Marchese de Salas, abbiano progettato, fin dai primi lavori condotti su disegni del Canevari e del Medrano, di destinare la nuova Reggia in costruzione sulla collina di Capodimonte a residenza del giovane Sovrano con la Corte, durante le battute di caccia nel bosco circostante, e a sede delle raccolte d'arte e 'di antichità' di Casa Farnese che quest'ultimo aveva ereditato dalla madre Elisabetta già nel '32 e che ora giacevano in gran parte ancora nelle casse dopo l'affrettato trasferimento da Parma, Colorno e Piacenza, sotto i portici e lungo le scale del Palazzo Reale al centro della città".






6- LE REALI CACCE DEL DEMANIO DI CARDITO CON LA REAL DELIZIA DI CARDITELLO"La difesa di Cardito seu Carditello, vasto territorio pianeggiante appartenente alla famiglia del conte dell'Acerra fin dal 1628, sito in Terra di Lavoro, poco lontano dal comune di San Tammaro, fu ritenuto da Carlo di Borbone particolarmente adatto al perfezionamento della razza dei cavalli e dal 1744 lo prese in fitto per 2800 ducati annui. L'area prescelta si rivelò in seguito perfettamente integrata nei programmi di pianificazione territoriale che avrebbero portato alla progettazione di una nuova città (Caserta) collegata oltre che a Napoli a Capua e agli altri sobborgi limitrofi. Ferdinando IV proseguì il progetto paterno ampliando la tenuta con diversi territori ora acquistandoli ora rivalendosi dei diritti che le leggi gli accordavano. Nella pianta redatta nel 1834 dall'Ufficio Topografico di Guerra erano indicati ben quattordici fondi, suddivisi in 69 parchi, che comprendevano complessivamente 6058 moggia di territorio boschivo, seminativo o a pascolo.
[...] Ferdinando Iv si preoccupò di costruire tutti i comodi rurali necessari al bestiame, alla lavorazione dei prodotti nonché le abitazioni e i ricoveri del personale. Dal marzo 1784 sono documentati [...] i lavori delle Reali Fabbriche. [...] Nel giugno del 1787 si scavavano infine le fondamenta del Casino Reale realizzato dall'architetto Francesco Collecini, già allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli.





7- VILLA D'ELBOEUF:

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"[...] Il luogo scelto da Carlo, al confine fra gli abitanti di Portici e Resina, era parzialmente occupato da precedenti costruzioni che furono successivamente espropriate. Dapprima, e precisamente nel 1738, furono acquistate la villa del conte di Palena e quella del principe di Santobuono, più tardi la villa dei principi di Caramanico e il palazzo Mascabruno oltre a masserie, boschi e terreni coltivati; nel 1742 infine si acquistò anche la villa sul mare di Maurizio Emanuele di Lorena principe di Elboeuf. Quest'ultima, costruita nel 1711 su progetto di Sanfelice, sfruttava mirabilmente la splendida condizione naturale mediante grandi scalinate ellittiche all'aperto racchiudenti terrazze a differenti livelli. La villa era inoltre particolarmente nota per le statue e gli oggetti antichi che in essa si custodivano e che il principe per primo aveva ritrovato nel corso di quegli scavi che, proseguiti poi sistematicamente da Carlo e dall'Accademia ercolanese, dovevano riportare alla luce Ercolano ponendosi, quindi, come un episodio determinante per la cultura europea della fine del Settecento. Con questi acquisti il re si assicurava una vasta zona di terreno che fu recintata verso il Vesuvio e popolata di selvaggina per soddisfare la sua passione per la caccia, mentre sul mare si costruivano grandi vivai per la pesca".











8- LA REAL TENUTA DEGLI ASTRONI:
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"Uno dei numerosi crateri spenti dei Campi Flegrei, quello degli Astroni, era stato destinato da Alfonso il Magnanimo a riserva per la caccia reale. Venduto ai Giovine nel 1698 e da un membro della famiglia donato nel 1721 alla compagnia di Gesù, ritornò tra i beni della Cornona nel 1739.

Delimitato dal ciglio del cratere che impediva agli animali di uscire, presentava caratteristiche ideali per una riserva di caccia; le stesse che rendono oggi gli Astroni una riserva naturalistica assolutamente eccezionale in ambito campano.
A guardia dell'ingresso era una torre (già visibile nella pianta di Antonio Brambilla del 1586) e che Giustiniani dice destinata ad uso taverna.

Oltre ai bandi che vietavano l'ingresso alla riserva fu eretto tra il 1749 e il 1750 un muro per cingere il cratere; nel 1756 venne costruito un nuovo magazzino al lato della torre. Di certo il meno vistoso architettonicamente di tutte le residenze che sono state testimoni della passione venatoria di Carlo di Borbone".




9- IL PALAZZO D'AVALOS A PROCIDA
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"Appena pochi mesi dopo il suo insediamento sul trono di Napoli, Carlo di Borbone, con il pretesto di trasformarla in riserva di caccia reale, ma con l'intento precipuo di colpire duramente gli interessi dei d'Avalos, rei di aver militato nello schieramento filoaustriaco, avviava le pratiche per la espropriazione di Procida, che, dal 1529, era, insieme con Ischia, feudo di quella potente famiglia. [...] L'interesse mostrato da Carlo per Procida non fu, tattavia, dettato da motivi di natura unicamente politica: la passione venatoria e l'amenità del luogo ebbero un peso rilevante. Del resto sin dall'epoca aragonese, Procida e Vivara si erano affermate come importanti luoghi di caccia. Nel periodo della migrazione, re Alfonso V, che aveva introdotto nelle due isole l'allevamento di pernici, starne e fagiani, era solito, infatti, andare a caccia di quaglie, tortorelle e colombi che scendevano a stormi. Agli inizi del XVI secolo Alfondo d'Avalos, al quale Federico d'Aragona aveva donato i parchi e i padiglioni di caccia di Ischia e Procida, volle introdurvi una nuova razza di fagiani
, portata dalla Calabria da Nicola Sancez.
[...] L'espansione della Reale Caccia procidana richiese l'aumento del numero delle squadriglie dei guardacaccia con i loro capi ed il rpimo guardacaccia. Bandi severissimi furono emanati, per vietare agli isolani non solo la caccia ai fagiani e ai conigli, ma addirittura l'ingresso nei boschi.
[...] Nel 1792, Procida ottenne il titolo di Città ed Isola Reale; certo, la ricchezza e il considerevole traffico marittimo fecero meritare all'isola quella fastosa qualifica, ma non v'è dubbio che la nobile caccia dei fagiani ebbe un peso rilevante".






10- IL SITO REALE DI SAN LEUCIO:
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"San Leucio è uno dei siti più pregevoli destinati al diporto de’ nostri sovrani […] per l’amenità del luogo, la salubrità dell’aria, la vastità delle terre e quella singolare riunione di boscoso e coltivato.
 L’etimologia del centro deriva da una piccola chiesa dedicata a S. Leucio, che verso il decimo secolo era stata edificata sulla sommità del piccolo casale. S. Leucio è considerato intercessore delle piogge, protettore degli infermi per mali di pleurisia. Nella chiesa venivano distribuiti pezzi di tegole benedette per applicarle ai pleuritici (in ricordo dei tegoli su cui era morto S. Leucio). Rimanevano pochi ruderi della chiesa quando la montagna passò ai Borbone.
[...] La prima destinazione di S. Leucio voluta da Carlo fu quella di legarla strettamente alla funzionalità della reggia, un semplice corredo del Sito di Caserta: in tal modo poteva divenire Riserva per Caccia, tanto più pregevole quanto più vicina al Palazzo; andava ad essere quasi il termine del vasto tenimento destinato a servire da corredo ed ornamento alla magnifica Reggia che già si fondava in Caserta.

Con Ferdinando IV cambia completamente la funzione del Sito Reale. Il nuovo sovrano in primo luogo, sulle orme del suo «Augusto genitore», continua ad acquistare comprensori fondiari destinati ad ampliare l’indotto di S. Leucio. Poi l’accelerazione nell’edificazione del Sito Reale con l’attribuzioni di nuove funzioni, di qui l’utopia ferdinandea e la fondazione della colonia:  collega il Belvedere col boschetto di Caserta, al fine di potervi accedere dall’interno; fa costruire lo stradone che dalla cascata porta al Belvedere (opera terminata prima del 1780). Poi la nuova identità del Sito Reale: la costruzione di una vera e propria fabbrica del re".





11- I PONTI DELLA VALLE DI MADDALONI:
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Ripercorrendo a grandi linee la storia che precede e riguarda la costruzione della Reggia di Caserta, si evince come non sia possibile considerare separatamente il Palazzo Reale, il Parco, l’Acquedotto; le tre parti sono elementi costituenti e significativi di una unica idea-progetto, strettamente interdipendenti sotto gli aspetti funzionali.
[…] Pur potendosi considerare, l’acquedotto, all’interno dell’idea-progetto complessiva, un’opera di servizio, essa non venne trattata da Vanvitelli con minori energie, cura ed attenzione né in fase progettuale né in fase costruttiva: dell‘Acquedotto Carolino è evidente il carattere monumentale, oltre che per le dimensioni, soprattutto per gli aspetti ingegneristici che hanno connotato la sua realizzazione e per quelle parti fuori terra (ponti e viadotti) che hanno finito per caratterizzare il paesaggio delle valli che attraversa.

[...] Il Viadotto dei Ponti della Valle, a tre ordini di arcate sovrapposte, è lungo più di cinquecento metri. Forte è la valenza paesaggistica di questa costruzione monumentale che, priva di elementi decorativi, perfetta nelle proporzioni, essenziale nel linguaggio architettonico, irrompe nel paesaggio della valle contrapponendosi all’ambiente naturale con armonia ed equilibrio formale e strutturale. In prossimità del maestoso viadotto, alto quasi sessanta metri, sorsero due mulini ed un opificio per la lavorazione del metallo che sfruttarono la grande energia idrica che si formava dopo un salto di circa sessanta palmi.

Nel 1795 fu costruito il mulino detto Superiore e successivamente il re Carlo programmò la realizzazione sul territorio di due fabbriche per la lavorazione del rame e del ferro. La produzione del ferro durò fino al 1822 e, con alcune modifiche, lo stabilimento della raffineria venne poi utilizzato come mulino. La lavorazione del ferro non si fermò ma continuò in un opificio presso Sant’Agata de’ Goti.





12- REAL CACCIA DI TORCINO E MASTRATI IN AGRO DI CIORLANO

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Carlo III di Borbone acquisì il bosco di Torcino per adibirlo a riserva di caccia. Probabilmente se ne era già invaghito fin dal 1734 quando, infante di Spagna e duca di Parma e Toscana, mentre l'esercito spagnolo dirigeva su Napoli occupata dalle truppe imperiali, egli si dedicava alla caccia tra Alife, San Germano e Maddaloni.
Il figlio Ferdinando IV incrementò il tenimento con l'acquisto del feudo di Mastrati.



La Reale Tenuta di Torcino e Mastrati venne acquistata da Carlo III. La sua estensione è di circa ettari 1.000 tra il coltivatorio e la selva ed il perimetro che la circoscrive è di quasi miglia 20 pari a chilometri 39,39. Il bosco è porzione della pianura ed il rimanente si prolunga in una catena di monti e colli, gli alberi che vi allignano sono le querce, i cerri, i pioppi, gli olmi, gli aceri, il pero, il melo etc. Il Volturno per la più grande parte ed i fiumicelli Sava e Lete ne circondano la vallata. Si penetra nella tenuta per un sontuoso ponte chiamato Ponte Reale eretto dal cennato Re. Torcino e Mastrati due paesi ormai distrutti e sono rinchiusi nell'attuale tenuta hanno lasciato il nome alla Reale Riserva. Vari fabbricati, tortuosi viali ed ameni ruscelli interni grandemente adornano questo bel sito di caccia. A pochissima distanza dal Barraccone o Casino di Torcino, si ammira una specie di circo costruito per la cosiddetta caccia “sforzata” che facevasi a cavallo: provocati dai cani i cinghiali entravano impetuosamente nel recinto murato ed ivi a colpi di lancia erano atterrati. Il bosco abbonda di cinghiali della più bella specie, di capri, lepri, volpi, lupi nonché di molti volatili come beccacce ed anitre selvagge di inverno e di starne e pernici nell'està. Molte cacce vi furono fatte negli scorsi tempi da diversi sovrani cioè da Carlo III, da Ferdinando IV, da Gioacchino Murat, da Francesco I, da Ferdinando II. Gli illustri cacciatori si trattenevano per vari giorni nella casina reale di Venafro ove pernottavano ed il mattino si recavano al bosco per la caccia. Anche il nostro prode Re Vittorio Emanuele nel dì 7 novembre del 1860 dopo la battaglia del Garigliano muovendo da Sessa onorava di sua presenza quel mentovato bosco ove si divertì alla caccia per più ore. Rimase sì fattamente impressionato da questa riserva che fra i primi beni assegnati alla lista civile mostrò desiderio di averla.





13- PALAZZO REALE DI VENAFRO
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La Reale Caccia di Torcino e Mastrati è collegata per mezzo di un ampio ponte
, fatto costruire da Carlo di Borbone, alla cittadina di Venafro dove la corte risiedeva nel periodo delle cacce, in un palazzo ricavato adattando a residenza reale alcune case acquistate dalla famiglia Coppa.
Scrive il Celano (C. CELANO, Notizie del bello, dello antico e del curioso che contengono le reali ville di Portici, Resina, lo scavamento di Pompejano, etc, Napoli, 1792):  “il vasto recinto della caccia, è così ben tenuto, che sembra un delizioso giardino in mezzo ai boschi. Vi sono sparse delle ampie peschiere, ed un bellissimo casino, costruito dal Re Cattolico, unicamente per suo riposo, poicché del rimanente egli abitava sempre a Venafro, quando a questa caccia conducevasi, nel palazzo dei Principi di Venafro”. Lo stesso autore riteneva questa residenza: “non impropria per abitazione sovrana. In quanto, all'ampiezza, sebbene modernata al possibile, con l'aggiunta di altre fabbriche per renderla maestosa, e di quella costruzione atta all'abitazione di un tanto Principe, avendo anco in questa Città stabiliti de' varj Uffiziali alla custodia, e buon governo di quest'ampio bosco”.
La descrizione si riferisce all'epoca di Ferdinando IV che nel 1771 aveva acquistato il palazzo della famiglia Coppa (l'intera tenuta fu ingrandita con l'acquisto dal Principe di Conca del feudo di Mastrati, incorporato poi in quello di Torcino), mentre nessun riferimento è fatto alla residenza di Carlo.
Purtroppo allo stato attuale, solo dall'esame delle piante dell'edificio, conservate presso l'archivio di stato di Napoli, ci è consentito di ricostruire l'aspetto dell'antica residenza reale che, suddivisa tra diversi proprietari, per essere adattata alle nuove funzioni, ha subito trasformazioni tali che totalmente alterata appare l'originaria fisionomia.
Soltanto nella zona d'ingresso -una piccola torre ed alcuni vani in stato di pericolosa fatiscenza- sussiste ancora la primitiva veste architettonica settecentesca e la data del 1702, scolpita sul portone a semplice fascia liscia di pietra locale, conferma la preesistenza dell'edificio all'acquisto borbonico.






14- REAL CASINO DI QUISISANA

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"La più antica tra le residenze utilizzate dai Borbone, quella che fin dalla fondazione in età angioina ha mantenuto un legame con la Corte è il palazzo di Quisisana a Castellammare di Stabia fondato da Carlo II nel 1284 e ingrandito da Roberto nel 1309.
Il nome stesso risale a Carlo II che grazie alla salubrità del luogo guarì quasi miracolosamente. Malgrado il divieto di alienazione il palazzo divenne proprietà dei Farnese e in quanto tale passò a Carlo con il resto dell'eredità materna.
Alisio anni fa ha individuato la pianta delle strutture angioine esistenti nel 1765, quando esse furono rilevate prima della totale demolizione necessaria per sistemare l'area prospiciente il palazzo borbonico. La costruzione del nuovo edificio, destinato a occupare in parte l'area della struttura angioina, di cui si conserva, ma molto rimaneggiata, una torre, fu decisa nel 1758, e ne fu architetto il Porzio.
L'edificio si articola secondo una forma ad L; così ottiene la posizione migliore sia verso la strada d'accesso da Castellammare che verso la veduta del Golfo. 
[...]Ha importanza rilevare il vivo interesse che presenta la sistemazione del circostante parco, nel suo felice adattamento all'ambiente naturale; i vari giardini si dispongono, infatti, a differenti livelli accompagnando il declivio che, nell'ala verso il mare, viene sfruttato anche per l'esigenza pratica di ottenere scantinati adibiti a cucine.
Nell'insieme la fabbrica si rivela di limitate dimensioni e insufficiente a ospitare la corte; tanto che, nel corso del Settecento, si susseguirono almeno due ampliamenti, uno dei quali è certamente anteriore al 1790, anno in cui l'ingegnere regio Ignazio Nardo eseguiva l'apprezzo dei lavori di Ampliazione nel Real Casino di Quisisana fatto nel 1790".





15- CASINO DI DELIZIE AD ISCHIA

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L'edificio originario - divenuto poi il Casino di Delizie di Ischia - fu costruito nel 1735 dal protomedico di corte Francesco Bonocore, noto in ambito napoletano e di orgini ischitane: esso fu destinato alle vacanze della famiglia e ad ospiti di rango in visita sull'isola per le famose cure termali. [...] Morto il protomedico la proprietà fu ereditata dal nipote Crescenzo, alfiere del Corpo di Artiglieria, che per primo ospitò Ferdinando IV ad Ischia nell'agosto del 1783. Il re rimase talmente ben imprssionato dal luogo, dalla casa di Bonocore e dall'ospitalità, da tornarci l'anno dopo con Maria Carolina; affascinato dal Lago dei Bagni (l'attuale porto), dispose che il lago rientrasse tra i siti privati di pesca, per poi affittare anche il casino (1785-1786).
[...] E' stato possibile ricostruire la residenza che ospitò Ferdinando grazie a fonti scritte e iconografiche. La casa si componeva di varei sale a tema: effigi degli antichi filosofi, scene naturalistiche e drappi orientali. Vi erano poi la biblioteca, la galleria dei ritratti, oltre ad arredi di pregio, porcellane e argenteria. Altra testimonianza dell'interesse di Ferdinando per Ischia è la Veduta del lago di Ischia che il sovrano commissionò a Jakob Philipp Hackert per lo studiolo di Caserta; lo stesso soggetto fu poi ripreso in un disegno del 1826 di un autore ignoto. [..] Negli stessi anni Carlo Vanvitelli eseguì un progetto di riqualificazione di tutta la zona del Lago dei Bagni, che prevedeva la ricostruzione del casino e l'acquisto di terreni limitrofi per un grande parco: ciò dimostra le mire del sovrano sulle proprietà all'epoca dei Bonocore, e solo in fitto alla famiglia reale.
[...] Non è stato possibile stabilire la data precisa in cui le proprietà dei Bonocore passarono tra i possedimenti del re.
[...] Francesco I acquistò il casino Bonocore, individuato dal padre come residenza di delizia della Corona, Ferdinando II terminò i lavori al casino e fu il sostenitore di quelle scelte urbanistiche che modificarono gli assetti ormai storicizzati dell'isola. Fu il re, infatti, a disporre che si eseguissero i lavori di trasformazione del lago in porto. Egli in realtà non fece altro che perpetuare un comportamento ereditato dai suoi avi: come nel Settecento erano state ristrutturate o costruite ex novo vie di collegamento tra la capitale e i Siti Reali, Ferdinando migliorò il collegamento tra Napoli ed Ischia, sede dell'ultima residenza di pesca del re.






16- PALAZZO REALE DI PORTICI
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"[...] Per la costruzione di una residenza extracittadina fu prescelta dal re la costiera vesuviana, nonostante la pericolosa presenza del Vesuvio che si era risvegliato nel 1631 e nel 1737 aveva distrutto l'abitato di Torre del Greco. Il luogo era particolarmente bello e fin dal Cinquecento la nobiltà vi aveva iniziato la costruzione di ville oggi totalmente scomparse.
[...] Fu tuttavia solo dopo la costruzione della nuova reggia che le splendide residenze di villegiatura si moltiplicarono: nelle forti somme impiegate dalla corte e dalle classi ricche per costruzioni edilizie e spese voluttuarie, Paolo Mattia Doria vide una delle cause principali della decadenza economica del regno.

Il luogo scelto da Carlo, a confine fra gli abitanti di Portici e Resina, era parzialmente occupato da precedenti costruzioni che furono successivamente espropriate. Dapprima, e precisamente nel 1738, furono acquistate la villa del conte di Palena e quella del principe di Santobuono, più tardi la villa dei principi di Caramanico e il palazzo Mascabruno oltre a masserie, boschi e terreni coltivati; nel 1742 infine si acquistò anche la villa sul mare di Maurizio Emanuele di Lorena principe d'Elboeuf. [...] Con questi acquisti il re si assicurava una vasta zona di terreno che fu recintata verso il Vesuvio e popolata di selvaggina per soddisfare la sua passione per la caccia, mentre sul mare si costruivano grandi vivai per la pesca.
Come è già noto, le ville di Palena e Santobuono furono in un primo tempo adattate per ospitare la corte, poiché già nell'ottobre del 1738 Carlo si recava a Portici con gran seguito di cortigiani. Tuttavia soltanto in un secondo tempo, come risulta agevolmente dall'analisi dei disegni inediti dell'Archivio di Stato di Napoli,  maturò l'idea di costruire il palazzo

«ex novo». Infatti il 21 giugno 1739 il Medrano, che tra il 1738 e il '40 espletava l'incarico di sovraintendere ai lavori di adattamento alle nuove esigenze dei preesistenti edifici, presentava al sovrano il progetto [...] che, come si può constatare dalla planimetria generale della zona precedente alla costruzione del palazzo, doveva essere edificata in un cortile di servizio presso le scuderie della villa del conte di Palena".






17- CASINO DEL DEMANIO DI CALVI

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Memorabile in Terra di Lavoro è il Demanio di Calvi della estensione di 1200 moggi circa, esistente presso l’antico casale di Sparanise, di proprietà dell’università di Calvi e Sparanise.

Il luogo si prestava ad ogni specie di caccia ed era la delizia di Ferdinando IV di Borbone, re cacciatore, il quale invaghito sempre più della bellezza della tenuta, manifestò il desiderio di volersi censire il demanio, riservando ai cittadini l’uso civico di legnare e ciò in occasione che nel novembre 1789 andava a finire l’affitto con S. M. e che le due università volevano sul nuovo un aumento di rendita.
 Protestarono i cittadini del tempo e le due università presentarono una supplica al re al fine di evitare la censuazione; ma a nulla valse la supplica, i cittadini stessi stabilirono financo che i Sindaci si portassero personalmente a Caserta per consegnare nelle mani di S. Maestà un ricorso: ma le intenzioni manifestate così solennemente dai cittadini non ebbero alcuna attuazione, perché, con in strumento del 28 settembre 1791 per il notar Portanova della R. Corte, le università addivennero alla censuazione, che fu ratificata in pubblico parlamento delle due università di Calvi e Sparanise con l’intervento di soli 29 cittadini!

E così si perdette il dominio utile della tenuta nonostante che si cercò salvare ciò che si potette, cioè riservare gli usi civici di legnare nel bosco e il diritto di libero transito degli animali pel pascolo; si convenne ancora che nel caso Sua Maestà avesse voluto dimettersi dalla censuazione, il Demanio sarebbe di nuovo ritornato ai comuni concedenti. Le cose rimasero così fino al 13 settembre 1832, il demanio divenne un sito vero e proprio di caccia destinato al solo reale divertimento di S. Maestà che vi costruì un casino bellissimo con ampia strada, che l’attacca alla consolare Napoli – Roma.
 





18- REGGIA DI CASERTA

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Le prime due sovrane della corte borbonica, Maria Amalia Wettin e Maria Carolina d’Asburgo, ebbero grande parte nella nascita e nello sviluppo del Sito Reale di Terra di Lavoro: la prima informò ai propri gusti la progettazione della reggia, la seconda operò scelte artistico-culturali che ne definirono ruoli e specificità.

Maria Amalia fu molto presente nelle decisioni politiche del Regno e lo fu, naturalmente, anche in quelle che riguardavano la costruzione del palazzo reale. Dei suoi voleri, dei suoi desiderata, ci dà contezza l’architetto Luigi Vanvitelli nel carteggio con il fratello Urbano:

«[…] mi ha detto la Regina che vuole io faccia un disegno per la Città di Caserta e le strade, perché chi averà da fabbricare vi fabbrichi con buona direzzione, né più alto né più basso, ma tutto con ordine».

A Maria Amalia la costruzione della reggia interessava profondamente; quello che ella chiedeva all’architetto non era un semplice memorandum ma l’esecuzione di propri desideri, di proprie idee: dava disposizioni, chiedeva conferme, verificava l’operato.
Certamente anche Carlo seguiva con attenzione e partecipazione l’evolvere della progettazione, ma il suo parere non fu mai determinante; l’ultima parola Maria Amalia la lasciava per sé.
[…]
Nel suo appartamento nel palazzo reale di Caserta, Maria Carolina coniugò i rigori neoclassici e massonici con «un margine – intimo e, in qualche modo, appartato – d’impalpabile frivolezza, una levità ben riscontrabile nel suo appartamento privato della Reggia di Caserta che, svincolata dagli intrighi della corte napoletana, rappresentò forse il luogo privilegiato per abbandonarsi a delicatezze più amene e facete. […] Non furono solo le pitture a vedere la regina Maria Carolina dedita alla realizzazione di palazzo reale. Furono sue l’idea e la volontà di dare vita al
Regium Viridarium Casertanum, quel Giardino inglese che fu, e resta, una delle più belle attrattive della reggia. 23 ettari di terreno trasformati in boschetti, praterie, serre per piante esotiche e rare, fontane e ruscelli per alimentare uno scrigno d’acqua, caro a Venere, dalla cura sapiente di John Andrew Graefer, giardiniere britannico. Un giardino “informale” o “di paesaggio”, così come si chiamavano nell’Inghilterra di fine Settecento, seguito, nella progettazione e nella realizzazione, da sir William Hamilton, su indicazioni della sovrana.
[…] A Maria Carolina resta legato il nome della camelia, la cui prima pianta portata in Europa fu piantata proprio nel Giardino inglese.





19- REAL FAGIANERIA DI CAIAZZO
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Si è detto come i "siti reali" inglobassero, in effetti, l'intero paesaggio fluviale e pedecollinare del Volturno fino a spingersi ai confini del Regno. Di quel "sistema" faceva parte anche la Reale Caccia di Caiazzo, la cui gestione era affidata all'Intendente di Caserta, il quale nel rapporto del 4 ottobre 1768 indirizzato all'amministratore generale dei "reali siti" dei "domini di qua del Faro", così scriveva: «a Caiazzo oltre il gran numero di caprij escorrono in quelle selve più di cento cinghiali pascolandosi delle semenze di castagni, delle castagne e fargne, assicurando i periti esservi molto frutta di fargna e ghianda, ma non così di cerro del quale è rimasto poco».
Qualche anno prima, nel 1765, Antonio Pinzani, che dirigeva la reale caccia di Caiazzo, faceva ascendere il numero degli animali selvatici di quel sito a 835 unità sparse nei suoi tre grandi bosci di Selva Nova, Selva Spinosa e Monte Grande.
[...]
Giustiniani, nella voce dedicata a Piana di Cajazzo riporta dell'esistenza di un
bel casino, e boschetto della Real Faggianeria, ove veggonsi ancora i ruderi di antichi bagni. Fra la Piana e la Faggianeria vi è una chiesetta opera de’ mezzi tempi. Il territorio di questo casale fa ottimi grani, granone, legumi, vino, ed olio.

La descrizione rimanderebbe alla presenza di strutture idriche simili a quelle riscontrabili in tutta la fascia pianeggiante a sud del moderno centro abitato di Piana di Monte Verna, datate ad epoca romana per la tecnica costruttiva.
In Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli il canonico Carlo Celano scrive:


In non molta distanza da Caserta, e propriamente nelle pianure dell’antica città di Cajazzo, risiede la real Faggianeria, come osservammo nel parlare della regal Villa di Capodimonte. Cajazzo per dire qualche cosa di lei, fu un’antica città de’ Sanniti […] ed era in sommo splendore. […] Abbassat’i Sanniti da’ Romani, divenne di loro colonia , ed indi acquistò l’onore di Municipio giusta lo stile politico di quella repubblica. […] Si ammirano in Cajazzo parecchi vestigi della sua passata grandezza.
[…] Ne’ piani intanto, che si estendono all’interno di quella Città, il Re ha situata la sua regal Faggianeria per aver conosciuti questi luoghi assai atti e proprj alla moltiplicazione, e buon governo di questi animali, che per aver vicina questa Caccia alla regal Villa di Caserta, da cui non è che poche miglia distante. Quivi ha costrutto delle belle fabbriche così per ciò, che riguarda la buona cura di questa delicatissima specie di caccia, che per abitazione di tutt’i Custodi, che in numero non scarso vi mantiene.




20- REAL FAGIANERIA DI RESINA
LO SAPEVATE CHE...?


Pertinenza del Sito di Portici era inoltre la Real Fagianeria, che con il suo aspetto selvaggio garantiva, grazie all’allevamento di fagiani e lepri abbondanza di prede sfruttate dal sovrano per soddisfare la sua passione venatoria.  Il carattere produttivo che contraddistingueva anche tale Sito Reale era testimoniato dalla presenza di appezzamenti dedicati alla coltivazione di fruttiferi, di pergolati e di spalliere realizzati rispettivamente per la coltura della vite e di alcuni agrumi, nonché di settori dedicati alla coltivazione degli aranci, dei gelsi e degli olivi.
Le vaste superfici a bosco e la vicinanza del mare rendevano particolarmente piacevole la permanenza in tale Sito, che oltre a rappresentare una splendida residenza per i regnanti, costituiva anche un luogo ideale per la caccia e la pesca.
Di particolare rilievo si dimostra anche la disposizione paesaggistica del Sito, concepito strutturalmente lungo un asse ortogonale rispetto alla linea di costa; la successione dei vari settori, disposti lungo il naturale declivio del territorio vesuviano, culmina con il belvedere posto nel punto più alto della residenza per permettere l’osservazione della città di Napoli, 
del Vesuvio e del Golfo.
L’amenità del luogo è testimoniata anche dal fatto che nel ‘700 intorno al Parco della Reggia di Portici e lungo la strada che da San Giovanni a Teduccio giunge fin quasi ai confini di Torre Annunziata, furono realizzate ben 121 ville. Infatti, l’aristocrazia partenopea di quel periodo per il suo soggiorno estivo scelse questi luoghi meravigliosi ubicati tra le pendici del Vesuvio e il mare, con un clima mite e l’aria particolarmente salubre. È da sottolineare che le ville vesuviane, veri e propri capolavori settecenteschi ubicati nei territori dei Comuni di Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco, contribuirono con la loro prestigiosa presenza a far chiamare “Il Miglio d’Oro” il tratto stradale che collega ancora oggi Resina a Torre del Greco.




Pertinenza della reggia di Portici era, poi, la Real Fagianeria di Resina, che, cinta da muri, quasi priva di viali e di giardini, col suo aspetto selvaggio, garantiva abbondanza di preda grazie all'allevamento di fagiani e selvaggina (lepri).







21- REALE CACCIA DI MONDRAGONE
LO SAPEVATE CHE...?



La grande passione per la caccia che nutrirono, sin dalla più giovane età, i sovrani borbonici, e in particolar modo Carlo e Ferdinando IV, li spinse a prender possesso, sia attraverso acquisti che mediante espropri o permute con altri feudi, del maggior numero possibile di boschi e località, ricche di selvaggina, dove praticare l’esercizio venatorio. Entrarono così a far parte del patrimonio reale vaste estensioni di terreno, sparse in ogni parte del Regno che, popolate di animali di diversa specie, furono riservate alle cacce reali. Nel corso degli anni le riserve subirono profonde modificazioni: alcune furono accorpate in altre vicine più grandi, altre furono limitate nei confini, altre ancora furono abolite. Per quanto riguarda Terra di Lavoro, dalla carta topografica delle Reali Cacce disegnata dal cartografo Rizzi-Zannoni, datata 1784, le zone destinate alle cacce dal sovrano risultano così denonminate: Torcino e Mastrati, Mondragone (1), Riserva di carditello, Demanio di Calvi, Reali fagianeria in prossimità di Caserta, Montegrande tra Alvignano e Caiazzo [...].

Terra in provincia di Terra di Lavoro, in diocesi di Carinola […] Mondragone ha esteso territorio, il cui prodotto è vario secondo la natura delle terre.  Il gran Pantano boscoso è riservato per la caccia reale. Colà sono le pagliare (2) del Re: vagamente costrutte, quantunque in luogo palustre, formano delizioso villaggio. In vicinanza è altro circondario destinato alla caccia reale de’ cinghiali.

Il Pantano di Mondragone, con i fondi adiacenti, costituiva un’altra tenuta di caccia dei sovrani. Essa si estendeva sui terreni dei comuni di Mondragone e di Carinola, per i quali la Real Casa pagava annualmente un fitto. Nella zona vi era anche il Bosco della Pineta che, pur essendo di proprietà del marchese di Pescopagano, era riservato alle cacce reali. La selvaggina di queste terre paludose era costituita soprattutto da cinghiali e mallardi.

Dal rapporto stilato nel febbraio nel 1766 da Angelo Palmieri, si apprende che «quelle reali cacce (Mondragone) sono in ottimo stato» e che «i Paesani che meneno a caccia di volatili» sono stati diffidati dall’avvicinarsi alla zona del Pantano.

 
(1) La Reale Caccia di Mondragone si estendeva, presumibilmente, dall'odierno territorio di Falciano del Massico, compresa la zona umida del lago di Falciano, alla zona di Mondragone e Carinola.

Il lago di Falciano, posto alle radici del Monte Massico, era noto come lago di Carinola.
L'attuale assetto idrografico del bacino risale alle bonifiche iniziate dal governo borbonico nel 1839.


(2) Nome dato nell’Italia merid. alle capanne di paglia, o col tetto di paglia, sostenute da un basso muricciolo, a pianta circolare, ovale o quadrangolare (Treccani).






22- PALAZZO REALE DI NAPOLI

LO SAPEVATE CHE...?



E’ stato spesso notato che con l’arrivo di Carlo di Borbone il Palazzo costruito a Napoli da Domenico Fontana nel 1600 per volere del viceré il conte di Lemos e della viceregina Caterina di Zuñica serviva finalmente per dare ospitalità a un sovrano.
[…] Con l’arrivo dei Borbone nel 1734 il Palazzo diventava finalmente ‘Reale’.
[…] Bisognava dare l’aspetto di una vera reggia al Palazzo – in cui non fu trovata «ne pure una sedia» - sia negli arredi che nelle dimensioni, «come esigeva l’elevazione d’una corte ducale a corte regia e a corte regia fastosissima», per usare le parole di Schipa che ha descritto molto bene la situazione: «il palazzo vecchio restava nel suo turpe abbandono e la reggia del Fontana, perfino nell’appartamento riservato al re, mancava di tutto, pur delle cose di più comune necessità. 
«Dato per tanto ordine che si riparasse alla lesta, d’urgenza, alla men peggio, la Regia Camera della Sommaria […] non altrimenti provvide che ricorrendo al Banco di Pietà e all’affarismo dei cittadini privati. […] Così provvisoriamente rifornita e arredata, la reggia di Napoli accolse il giovane sovrano».
Si diede poi inizio a una seria opera di ammodernamento. Mentre si svolgevano i lavori di arredamento e ridecorazione degli interni, iniziati nel 1735 e conclusi nel 1738, l’anno delle nozze di Carlo con Maria Amalia di Sassonia, venivano realizzati anche notevoli interventi di restauro e ampliamento del Palazzo.
Come ha notato P.M. Migliorini «il segnale di un patto tra Corona e popolo è, necessariamente, un nuovo progetto per il Palazzo Reale, cui si giunge solo dopo alcuni anni, ma che è  già in qualche misura anticipato nei suoi contenuti dalla costruzione del Teatro San Carlo nel giardino reale, di fianco al Palazzo Vecchio».



La magnificenza della nuova dinastia era percepita non tanto nelle fabbriche reali che Carlo stava costruendo, quanto nello splendore dei suoi appartamenti, nella preziosità delle collezioni d’arte e del mobilio, nel fasto delle udienze e delle cerimonie pubbliche. […] Tutto questo non era solo il frutto di scelte arbitrarie, dettate semplicemente da orientamenti di gusto, ma anche il risultato di un’accurata politica di corte che, insieme con le altre scelte attuate in quegli anni dal governo, doveva contribuire a creare, attorno a Carlo, un’immagine di regalità “propria”, o , se si vuole, una “identità” regale, necessaria per accreditare nel contesto europeo una dinastia appena fondata.


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